“L’accesso civico generalizzato si deve applicare a ogni atto afferente l’appalto pubblico.
Tale forma di accesso non può ritenersi limitata da norme preesistenti (e non coordinate con il nuovo istituto), come quelle della legge 241/1990, ma soltanto dalle prescrizioni «speciali» e interpretabili restrittivamente, che la stessa nuova normativa ha introdotto al suo interno. In questi termini l’ importante sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, n. 3780/2019 Il contrasto in giurisprudenza Il giudice di Palazzo Spada interviene in tema di rapporti tra l’accesso civico generalizzato e gli atti dell’appalto fornendo un riscontro condivisibile alla problematica e, al contempo, risolvendo i dubbi sorti nella giurisprudenza di primo grado. Il collegio dà conto di due differenti letture della problematica. Secondo un primo indirizzo i documenti afferenti alle procedure di affidamento ed esecuzione di un appalto sono esclusivamente sottoposti alla disciplina prevista dall’articolo 53 del Dlgs 50/2016 e pertanto restano esclusi dall’accesso civico generalizzato regolato invece dall’articolo 5, comma 2, del Dlgs 33/2013 (Tar Emilia- Romagna, Parma, n. 197/2018; Tar Lombardia, Milano, n. 630/2019). Secondo un diverso orientamento, invece, dovrebbe riconoscersi l’applicabilità della disciplina dell’accesso civico generalizzato anche alla materia degli appalti pubblici (da ultimo la sentenza del Tar Lombardia n. 45/2019). Per decidere in maniera corretta, quindi, il giudice ritiene che si debba muovere dalla lettura coordinata e dalla interpretazione funzionale degli articoli 53 del Dlgs 50/2016, che rinvia alla disciplina prevista dall’articolo 22 e seguenti della legge n. 241/1990, e dell’articolo 5 bis, comma 3, Dlgs 33/2013. La disamina parte dal dato oggettivo secondo cui «il legislatore, attraverso l’ introduzione dell’accesso civico generalizzato» ha inteso consentire l’ accesso ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, «ulteriori a quelli oggetto di pubblicazione, a “”chiunque””, prescindendo da un interesse manifesto». Il consiglio di Stato Condividendo il ragionamento dell’appellante, in sentenza si precisa che l’ articolo 5 bis, comma 3 del Dlgs n. 33/2013, nel momento in cui precisa che l’ accesso civico generalizzato è escluso fra l’ altro nei casi previsti dalla legge «ivi compresi i casi in cui l’ accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti» intende far riferimento a «specifiche condizioni, modalità e limiti» ma non a intere «materie». Se così non fosse, l’ obiettivo del legislatore risulterebbe completamente frustrato con la conseguente esclusione dell’intera materia relativa ai contratti pubblici «da una disciplina, qual è quella dell’accesso civico generalizzato, che mira a garantire il rispetto di un principio fondamentale, il principio di trasparenza ricavabile direttamente dalla Costituzione». Impedendo sul nascere, in questo modo, «quelle forme diffuse di controllo nel perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche» che si intende promuovere e alimentare a fini preventivi di comportamenti patologici. Le esclusioni ammissibili, dall’ambito di applicabilità dell’accesso civico generalizzato (come anche emerge dal parere 515/2016 del Consiglio di Stato), sono solamente quelle stabilite dal legislatore , per esempio «quelle relative alla politica estera o di sicurezza nazionale», ma al di fuori di queste situazioni – non estensibili analogicamente – possono insistere solamente dei «casi» specifici. Situazione non ricorrente nel caso di specie, trattandosi di appalto a prestazioni «standardizzate» con richiesta di accesso intervenuta una volta conclusa la procedura di gara e quindi in assenza di esigenze di tutela della par condicio. Il collegio, prosegue la sentenza, non ritiene che il richiamo, considerato invece decisivo dalla giurisprudenza di primo grado, all’articolo 53 del Codice dei contratti nella parte in cui esso rinvia alla disciplina degli articoli 22 e seguenti della legge 241/1990 «possa condurre alla generale esclusione dell’accesso civico della materia degli appalti pubblici». È evidente che il Dlgs n. 97/2016, successivo sia al codice dei contratti, sia alla legge n. 241/1990, sconta un mancato coordinamento con quest’ultima normativa, sul procedimento amministrativo, «a causa del non raro difetto, sulla tecnica di redazione ed il coordinamento tra testi normativi, in cui il legislatore incorre». L’ ultimo inciso è che nella richiesta di ostensione (il contratto stipulato con l’ aggiudicataria; i preventivi dettagliati, i collaudi, i pagamenti «con la relativa documentazione fiscale dettagliata«), la stazione appaltante dovrà prestare particolare attenzione consentendo l’ accesso soltanto alla documentazione – inclusa quella fiscale – strettamente relativa alla procedura di gara per cui è richiesto l’ accesso civico, e alla esecuzione dell’appalto». “
A cura di Quotidiano Enti Locali e PA (Sole 24 Ore) del 11/06/2019 – autore STEFANO USAI